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Il primo incontro con l’opera di Alberto Burri risale al 2012, durante una vacanza in Sicilia. Il tempo era brutto e, da Favignana, riparammo a Trapani, da cui partimmo per un giro nell’interno dell’isola. Avevamo sentito parlare del grande cretto, un sarcofago di cemento con cui l’artista aveva ricoperto i ruderi della città di Gibellina, dopo il terremoto del Belice del 1968. La vista dell’opera suscitò in me grande impressione e curiosità verso l’artista, autore dei famosi “sacchi” e di altre opere astratte.